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Indennità di disoccupazione europea 2019, pro e contro

da Redazione
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Cos’è l’indennità di disoccupazione europea? Secondo molti la proposta dal PD sul sussidio di disoccupazione non risolverebbe la crisi occupazionale ed economica del nostro paese


Per prima cosa c’è da dire che l’indennità di disoccupazione europea al momento non esiste. Il sussidio di disoccupazione europeo non esisterà per i prossimi anni. E non è nemmeno ancora stato pensato nel dettaglio. Appare dunque una proposta piuttosto buffa e fuoriluogo quella lanciata dal PD in piena campagna elettorale. Infatti suona più come uno specchietto per le allodole che una reale misura economica a sostegno dei disoccupati. E forse questo è anche un bene.

L’idea è sostanzialmente quella di istituire un fondo comune europeo, sostenuto economicamente da tutti i paesi dell’UE. All’occorrenza andrebbe a ridistribuirli in favore degli stessi paesi riproporzionando la quota spettante in base alle necessità. Questo, secondo alcuni teorici, dovrebbe favorire i paesi dell’Eurozona in condizione di recessione. Poco importa se la recessione è causa della stessa moneta unica.


Paese che vai, disoccupazione che trovi

Ogni paese dell’Unione Europea ha una propria disciplina in merito al sussidio di disoccupazione. I fattori che le contraddistinguono sono molteplici: la base di calcolo, il reddito medio, l’arco temporale entro cui conteggiare i mesi di contribuzione. E ancora la durata della disoccupazione stessa in relazione ai mesi lavorati, obbligatorietà di percorsi formativi, ecc…

Il primo pensiero va alla Naspi e al Reddito di Cittadinanza. Questi ammortizzatori sociali ad oggi sembrano funzionare abbastanza bene, tranne qualche cavillo che a nostro parere sarebbe ancora da aggiustare. Siamo stati trascinati nell’Euro con l’inganno, e ora che fa acqua da tutte le parti si inventano nuove misure e nuove tutele. Cosa importa poi se andrà bene o male, se il risultato sarà migliore o peggiore di quello attuale. A toccare il fondo non sarà mai lo stesso che ha portato avanti quella proposta di legge, ma solo lo stivale che si porta appresso.


Indennità di disoccupazione europea: i pro

Vari economisti hanno affrontato la questione, e molti di questi sarebbero favorevoli ad un sussidio di disoccupazione europeo. Di seguito lo stralcio di un recente articolo de Il Sole 24 Ore:

Paul De Grauwe, ha identificato nel sussidio di disoccupazione europeo uno strumento formidabile per riequilibrare le economie dell’Eurozona. Il meccanismo è semplice: il grande problema dell’Eurozona sono i cosiddetti “shocks asimmetrici”. Quando un paese membro è in recessione e un altro è in crescita sostenuta, un’unica politica monetaria non riesce a compensare gli squilibri. È necessario perciò un sistema che sia in grado di trasferire risorse dal paese in crescita a quello in recessione, con lo scopo di ricreare convergenza fra le due economie. Teoricamente, una politica fiscale europea potrebbe avere una maggiore efficacia ma, politicamente, è molto difficile da costruire […]. Il sussidio permetterebbe di superare questa diffidenza culturale e sarebbe un ottimo meccanismo di stabilizzazione macroeconomica.

Il funzionamento sarebbe molto semplice: quando un paese è colpito da uno shock economico ed entra in recessione il livello di disoccupazione aumenta (anche rispetto ai paesi non colpiti dalla recessione). Qui entrerebbe in gioco il sussidio europeo, che trasferirebbe risorse ai paesi in difficoltà. Tale politica, inoltre, potrebbe alleggerire anche il carico sulle spalle dei bilanci dei singoli paesi in difficoltà, peso che spesso porta a un circolo vizioso tra aumento del debito e mancata crescita (con il rischio di dare vita alle cosiddette profezie auto-avveranti sul debito).

A favore del sussidio di disoccupazione europeo c’è da dire che i sussidi di disoccupazione nazionali non permettono una condivisione dei rischi tra cittadini di diversi Paesi. Inoltre i Paesi in cui la crisi è più grave potrebbero trovarsi a corto di fondi, il ché potrebbe significare ritardi nei pagamenti dei sussidi.



Indennità di disoccupazione europea: i contro

Elena Monticelli, giuslavorista de La Sapienza, affronta l’argomento in questo articolo, dal quale riportiamo questo estratto:

Un fondo sopranazionale, in sostanza, «che trasferisca risorse ai paesi colpiti dalla recessione, e a cui gli stati contribuiscano allo stesso costo dei sussidi di disoccupazione di loro competenza ma in questo caso basandosi su linee guida europee» chiarisce la studiosa. Ne verrebbe fuori un meccanismo per cui «si andrebbero a sanare solo i periodi di breve disoccupazione» prosegue la Monticelli, «e che scatterebbe solo in caso di forti shock macroeconomici». Del resto una proposta simile, racconta nel suo paper, è già stata studiata qualche tempo fa dal Centro europeo di studi politici di Bruxelles, sotto forma di «assicurazione per la perdita del lavoro».

Se i costi – come i diversi studi condotti finora hanno ipotizzato – dovessero attestarsi attorno all’1% del prodotto interno lordo europeo, «la proposta diventerebbe difficile da accettare per molti Paesi» ragiona Monticelli, «perché non si manterrebbe la proporzione tra quanto sborsato da ciascuno e quanto poi effettivamente beneficiato». 


Sussidio di disoccupazione europeo: è chi lo chiama inganno

Secondo un articolo de ilpensieroforte.itla prima conseguenza sarebbe che – dovendo applicare una “indennità europea” – tutte le tutele che nel corso dei decenni si sono accumulate a favore dei disoccupati, nelle varie forme in cui si manifesta questo spiacevole evento, dovrebbero essere annullate (per costruire qualcosa di nuovo, bisogna fare “tabula rasa”) e, comunque, vi dovrebbe essere un periodo piuttosto lungo di transizione […]. Facciamo qualche esempio: vi è la Grecia, innanzitutto; poi la Spagna, la Francia, la Croazia, la Finlandia, il Portogallo, la Svezia, il Belgio e via dicendo.
Potrebbe così avvenire che, se per ipotesi la proposta del PD divenisse realtà, sarebbe innanzitutto cancellata la legislazione italiana molto favorevole per introdurre al suo posto una normativa più rigida (com’è sempre avvenuto con le norme sul diritto sul lavoro, da quella sull’orario di lavoro a quella sul tempo determinato, tanto per citarne due) e per di più il costo finale per i contribuenti italiani sarebbe più elevato perché si dovrebbe pagare anche per gli altri Paesi membri.

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